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«Ecco: sto alla porta e busso» (Ap 3, 20), proclama Gesù alla nostra Comunità parrocchiale agli inizi di un nuovo anno pastorale.  È bellissimo sapere che Gesù è alla porta della mia vita e bussa, desidera entrare per cenare con me:

«se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20).

Questo desiderio di Dio mi raggiunge sempre e m’interpella: chi ascolta la sua voce? Chi gli apre? 

Ascoltare e aprire sono i verbi della salvezza: permettiamo a Gesù di salvarci lasciandoci contagiare dal suo desiderio, dalla sua sete di amore! 

La nostra Comunità parrocchiale di San Silvestro vuole essere a servizio di questo desiderio di Dio e per questo si prepara a vivere un tempo di grazia che è la missione popolare, ossia un tempo gratuito e straordinario che s’inserisce nell’ordinarietà della vita della nostra Comunità per darle un dinamismo nuovo, per spingerla a lasciarsi contagiare dalla sete di amore del suo Signore ed essere Chiesa in uscita!

La missione è allora un tempo privilegiato di annuncio dell’amore di Dio che cerca di raggiungere tutti, perché nessuno ne resti escluso:

per questo dal 28 marzo al 7 aprile 2019 circa trenta missionari - frati, suore e laici - saranno nel nostro territorio parrocchiale per animare e promuovere la missione, che sarà anticipata da una missione ai giovani dall’11 al 14 ottobre 2018. 

Dice Gesù: «Io sto alla porta e busso; se uno mi apre entro e ceno con lui e lui con me». In realtà lui è già dentro, mentre noi stiamo fuori. Sta a noi aprire il nostro cuore ed essere coscienti di quello che sentiamo. 

L’ascolto di Apocalisse 3, 14-22, che in questa traccia ci è offerto nella forma della lectio divina, guidi e illumini la nostra vita, renda la nostra Comunità una Chiesa in ascolto, come ci sollecita il Vescovo nel piano pastorale 2018/19, capace di accogliere la grazia e i doni della missione popolare. 

Ringraziamo Massimiliano, che ha scritto per noi il testo di questa traccia, e che anche quest’anno con la Scuola di preghiera insieme a Fra’ Massimo ofm nella Catechesi adulti ci guideranno nell’ascolto e nella preghiera ad accogliere il Signore, verso la missione.
 
Domenica 9 settembre 2018 Solennità di Gesù Salvatore

Salmo d’introduzione
Sal 34/33, 2-12.
 
2 Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode.

3 Io mi glorio nel Signore: i poveri ascoltino e si rallegrino.

4 Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome.

5 Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato.

6 Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire.

7 Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce.

8 L’angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono, e li libera.

9 Gustate e vedete com’è buono il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia.

10 Temete il Signore, suoi santi: nulla manca a coloro che lo temono.

11 I leoni sono miseri e affamati, ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.

12 Venite, figli, ascoltatemi: vi insegnerò il timore del Signore.

 

Apocalisse 3, 14-22
 
 
14 Così parla l’Amen, il Testimone degno di fede e veritiero,  il Principio della creazione di Dio.
 
15 Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo.  Magari tu fossi freddo o caldo!
 
16 Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo,  sto per vomitarti dalla mia bocca.
 
17 Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla.  Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo.
 
18 Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità,  e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista.
 
19 Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo.  Sii dunque zelante e convertiti.
 
20 Ecco: sto alla porta e busso.   Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta,   io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.
 
21 Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono,  come anch’io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono.

22 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.


Lectio e Meditatio
 
Ci ritroviamo, all’inizio di questo nuovo anno pastorale, ad ascoltare la Parola di Dio e a pregarla.

Ma allora proprio questo vogliamo domandare: qual è l’importanza della Parola di Dio nella vita cristiana?

Cosa significa, per un cristiano, pregare la Parola?

Quali i frutti che vengono promessi?

Cerchiamo una risposta a queste domande mettendoci in ascolto dei primi tre capitoli dell’ultimo libro della Bibbia:

l’Apocalisse. ! «1Rivelazione di Gesù Cristo»: sono le prime parole del libro dell’Apocalisse;

nell’originale greco, «rivelazione» è appunto apokálypsis.

La Bibbia tutta intera, in effetti, è il libro sacro dell’ebraismo e del cristianesimo: entrambe religioni rivelate.

«Rivelate» significa che quanto è detto non è frutto dell’esperienza degli uomini, delle nostre riflessioni: non è farina del nostro sacco.

«Rivelazione» significa piuttosto che quelle parole sono di Dio: sono per l’uomo, ma non provengono dall’uomo;

sono rivolte all’uomo, ma da parte di quel Dio che abita nei cieli, assolutamente altro.

Ovviamente, tutti i libri della Bibbia sono stati scritti materialmente da essere umani;

tuttavia quegli uomini hanno svolto piuttosto la funzione di profeti:

ovvero, letteralmente, «hanno parlato al posto di Dio», hanno prestato, più o meno consapevolmente, la loro mano e la loro bocca a Dio.

La Bibbia è stata scritta dagli uomini, ma da noi credenti è ritenuta autenticamente Parola di Dio (1 Ts 2, 13):

parola cioè che esprime il pensiero ed il cuore di Dio.

L’iniziativa dunque è di Dio: a noi è chiesto soltanto di ascoltare e di rispondere.

È quanto scrive appunto Giovanni all’inizio del suo libro:  !

«1Rivelazione di Gesù Cristo, al quale Dio la consegnò per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve»: perché dunque Dio parla?

Per «mostrare le cose che dovranno accadere tra breve».

In effetti, apokálypsis è un vocabolo greco il cui calco in italiano è «svelare» o «scoprire»: indica propriamente il «manifestare ciò che era nascosto».

Sembrerebbe dunque che l’ultimo libro della Bibbia sia stato scritto per rivelare cosa debba accadere alla fine dei tempi.

Di fatto, così spesso si pensa.

Ma subito appresso Giovanni aggiunge:  ! «

Egli la manifestò, inviandola per mezzo del suo angelo al suo servo Giovanni, il quale attesta la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, riferendo ciò che ha visto»: qui ci sono alcune precisazioni importanti. Innanzitutto, il fatto che la rivelazione avviene «per mezzo dell’angelo».

Ánghelos in greco significa «annunciatore»:

la rivelazione dunque è una parola che, in quanto tale, va annunciata.

In effetti, Giovanni lo scrive esplicitamente: la rivelazione è «la parola di Dio»; ma aggiunge subito che questa parola è «la testimonianza di Gesù», nonché quelle cose che egli stesso «ha visto». Si tratta dunque di una parola che non veicola concetti, dottrine, valori, bensì una visione: una parola cioè che apre un orizzonte nuovo, che inserisce in un modo di sentire. Questo è appunto la Bibbia: una parola che manifesta il cuore di Dio, il suo stesso modo di vivere. Per questo, scrive Giovanni,  ! «3Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi sono scritte»: beato è chi legge ed ascolta, perché ascoltare e custodire queste parole significa entrare nella vita di Dio, nel suo mondo; significa entrare nel regno dei cieli. Ora, però, è evidente che tra l’esistenza terrena e il regno dei cieli c’è uno scarto, una separazione, uno iato: qui tutto è soggetto a morte, lì è la vita eterna; qui imperversano il male e la lotta, li la pace e la gioia. Eppure, conclude Giovanni,  ! «il tempo è vicino»: il regno dei cieli non è ancora, non è già qui; tuttavia è vicino: dietro l’angolo! La Parola di Dio è la strada che colma la distanza, che permette di compiere il santo
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viaggio: il regno dei cieli non è ancora qui, eppure la Parola di Dio ha il potere di farlo raggiungere, di realizzarlo già adesso. È questo il grande mistero e il grande dono della Bibbia: il suo ascolto consente di trasformare il non-ancora in già, il nondum in iam, il futuro in presente, l’esistenza terrena in esperienza del regno dei cieli. Ma che cos’è propriamente questo regno dei cieli? E come la Parola di Dio può essere la strada che vi conduce? Dopo i primi tre versetti introduttivi, Giovanni presenta il Risorto: nella sua persona è descritto appunto il regno dei cieli. Egli è anzitutto  ! «4Colui che è, che era e che viene»: colui cioè che trasforma il tempo da emorragia di vita, da uno scorrere che conduce infine alla morte, ad esperienza di una vita che non passa, che sempre si rinnova. Che il tempo non sia più l’inevitabile scolorire di tutte le cose, ma al contrario la possibilità di esperire una rinascita, una rigenerazione permanente: questo significa vivere l’esistenza terrena già come regno dei cieli. Gesù quindi è  ! «5il primogenito dei morti»: la morte infatti non è più la fine di tutto, bensì quella fine che rende possibile un nuovo inizio, così come il tempo non è l’esperienza dell’inevitabile declinare del giorno, bensì la possibilità di vivere ogni momento come evento unico, irripetibile. Il «primogenito dei morti» è anche  ! «il sovrano dei re della terra»: per ogni popolo, il re è stato il simbolo di ciò che ognuno avrebbe desiderato essere, l’immagine di uomo riuscito. Ebbene, Gesù, il Gesù narrato nei Vangeli, è questo uomo riuscito. Egli è  ! «colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue»: il regno dei cieli è l’esperienza di un amore che vince la morte ed il male, è l’esperienza di essere amati incondizionatamente. Ora, però, un simile amore non può essere solo a parole o nei sentimenti, bensì nei fatti (1 Gv 3, 18), nella
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carne, nella concretezza del servire: in ogni esperienza di essere accuditi, l’esistenza terrena è già regno dei cieli. Per questo anzitutto dei bambini è il regno dei cieli (Lc 18, 16-17): perché per i bambini vivere è l’esperienza continua appunto di essere curati e serviti. Egli  ! «6ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio»: l’esperienza del regno dei cieli non è mai un fatto solo individuale; all’uomo non basta sentirsi amato: occorre anche sentirsi una cosa sola con tutti gli altri uomini, fratelli di un’unica famiglia. Per questo, ancora una volta, dei bambini è il regno dei cieli: perché vivere per loro è essere una cosa sola con la propria famiglia, con il papà e la mamma, i fratelli e le sorelle. Segue quindi la descrizione fisica del Risorto. Anzitutto, è  ! «13un Figlio d’uomo»: il regno dei cieli infatti è per l’adesso, per questa esistenza terrena, fatta di carne e sangue.  Veste  ! «un abito lungo fino ai piedi»: a differenza degli animali, l’uomo necessita di  un abito, non solo per difendersi dalle intemperie, ma per essere sé stesso; possediamo una nostra identità solo nella misura in cui siamo inseriti in una comunità, in un mondo: l’abito che vestiamo esprime la nostra appartenenza ad una cultura spazialmente e temporalmente determinata. Per questo, dicevamo, il regno dei cieli è dei bambini: essi appartengono integralmente alla loro famiglia, sono un tutt’uno con essa. L’«abito lungo fino ai piedi» è la veste nuziale degli invitati al banchetto (Mt 22, 12): è il vestito della festa, ciò che rende possibile vivere la vita come una festa. I capelli del Figlio d’uomo  ! «14erano candidi, simili a lana candida come neve»: bianco è il colore della veste della trasfigurazione (Mc 9, 2-3: «Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche»); è il colore della luce: il regno dei cieli è infatti vivere
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questa vita effondendosi come luce, come sorgente inesauribile (Gv 7, 38). In Isaia, poi, il bianco è anche il colore della vittoria sulla morte e sul male, sul peccato (Is 1, 18); il bianco infatti riflette tutti i colori: vivere già quest’esistenza terrena come regno dei cieli significa non interrompere il flusso della vita arrestandolo su di sé, afferrandolo, facendone un possesso, ripiegandosi, bensì amplificarlo entrando nel ritmo eucaristico dell’accogliere tutto come dono e tutto donare.  ! «I suoi occhi erano come fiamma di fuoco»: è il fuoco sotto cui apparve per la prima volta a Mosè Dio, come roveto ardente (Es 3, 2). Sperimentare il regno dei cieli già in questa esistenza terrena significa vivere sprecandosi, appassionati, e scoprire che quanto più si arde, tanto meno il fuoco si consuma.  ! «15I piedi avevano l’aspetto del bronzo splendente, purificato nel crogiuolo»: il Risorto non ha la fragilità del gigante dai piedi d’argilla, per frantumare il quale, facendolo cadere in rovina e crollare, è sufficiente una pietra (Dn 2, 31-35); non ha la fragilità del sogno e dell’illusione, bensì la solidità di ciò che permane: non è nebbia che svanisce alla prima luce del giorno (Sap 2, 4), ma giorno che non finisce (Ap 21, 25).  ! «La sua voce era simile al fragore di grandi acque»: sono le acque della creazione (Gn 1, 2); la Parola di Dio è una creazione permanente: è il diuturno rinnovarsi della luce del primo giorno (Gn 1,3).  ! «16Il suo volto era come il sole quando splende in tutta la sua forza»: il tempo non è più il giorno che ineluttabilmente volge alla sera; ogni notte ormai prelude ad un nuovo giorno: anche le tenebre sono luminose (Sal 139/138,12).
Il regno dei cieli dunque è tutto ciò: esperienza, già in questa esistenza, di una vita che incessantemente si rinnova, nella cura reciproca e nella crescita nella comunione. Ma come l’ascolto della Parola di Dio può essere il tempo ed il luogo di una simile esperienza?
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Nei capitoli secondo e terzo Giovanni riporta le sette lettere indirizzate agli angeli delle sette Chiese dell’Asia Minore. Al termine di ciascuna di esse sono indicati i doni promessi ai vincitori: sono i doni promessi a chi legge e prega la Parola. Il primo dono è di  ! «2,7mangiare dall’albero della vita, che sta nel paradiso»: è la promessa di vita eterna, è la promessa cioè non solo di essere risuscitati dopo la morte (Gv 11, 23-26), bensì di sperimentare già ora nel proprio cuore un’energia inesauribile, come sorgente zampillante (Gv 4, 14).  ! «11Il vincitore − conclude la seconda lettera − non sarà colpito dalla seconda morte»: ciò che l’uomo giustamente teme non è la morte corporale, mistero nel quale non ci è dato di vedere, ma solo di sperare; ciò che temiamo è piuttosto la morte dell’anima: il sentimento cioè di perderci nel peccato, nel male, di sentire svanire l’energia vitale, la gioia di vivere. La lettura del Vangelo è antidoto contro i veleni che hanno il potere di uccidere l’anima. Al vincitore della terza Chiesa è promessa  ! «17la manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve»: quest’esistenza è un esodo verso la terra promessa, verso la nostra vera identità; abbiamo bisogno di ricevere un corpo nuovo, che non perisca, un nome nuovo, non macchiato dalle tante cadute: la nostra vera nascita non è alle nostre spalle, nel giorno del nostro compleanno, bensì in avanti, nel futuro che ci attende. Il tempo non è anticipazione della morte, ma slancio permanente verso una nuova nascita (Is 43, 1819). Al vincitore della quarta Chiesa verrà data  ! «28la stella del mattino»: è Venere, dèa della bellezza, la prima stella sia della sera sia del mattino. La bellezza infatti è l’esperienza di ciò che non finisce, o meglio di ciò che finisce solo per rinascere: alternanza benedetta di sera e mattino, di
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riposo e lavoro, di corsa e abbraccio, di parola e bacio, di autunno e primavera. Il vincitore della quinta Chiesa  ! «3,2sarà vestito di bianche vesti»: sono le vesti delle nozze, di coloro cioè che diventano fertili, capaci di generare nuova vita. In effetti, durante questa esistenza terrena facciamo esperienza del regno dei cieli nella misura in cui sperimentiamo che questa vita non è per la morte, bensì per divenire capaci di generare sempre più vita. Il vincitore della sesta Chiesa sarà posto  ! «12come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo»: per essere noi stessi, dicevamo, abbiamo bisogno di appartenere a qualcuno; l’ascolto della Parola di Dio permette di appartenere a Dio stesso, di essere suoi, segnati con il suo sigillo (Ez 9, 6). Così per noi cristiani segnarsi con il segno della croce è come imprimerci a fuoco nella nostra carne il sigillo di appartenenza dell’amato del nostro cuore (Ct 8, 6). La settima ed ultima lettera infine è all’angelo della Chiesa che a Laodicèa: è la lettura che abbiamo ascoltato proclamare questa sera. L’incipit è molto forte:  ! «15Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! 16Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca»: caldo è l’amore, freddo è l’odio; tiepido è chi ama senza dare sé stesso: non è tendenzialmente questa la condizione di tutti noi? Quella di credere cioè in Dio, senza tuttavia che ciò determini realmente e concretamente la nostra vita? La Parola di Dio ha il potere di condurre ad un amore che diventi dedizione.  ! «17Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla»: qui non è questione di soldi; la ricchezza consiste piuttosto nella consapevolezza di poter vivere senza Dio, facendo a meno di lui: come figli, ormai adulti, che abbiano abbandonato la casa del padre (Lc 15, 12). La Parola di Dio è la
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via del ritorno a quella casa, alla condizione di figli, a partire dalla quale sola possiamo diventare a nostra volta padri, capaci di generare vita.  ! «Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo»: in effetti, siamo i più miserabili ed infelici, i più poveri! Come facciamo a non aver bisogno di Dio? Non abbiamo bisogno di essere conservati in vita? Chi può aggiungere anche un’ora sola alla sua vita (Mt 6, 27)? Ancora di più, non abbiamo bisogno di sentirci amati in un modo tale come nessuno è in grado di amarci?  ! «18Ti consiglio di comperare da me [...] collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista»: la Parola di Dio è questo collirio, che ci apre gli occhi e ci fa vedere la nostra condizione, il bisogno che siamo.  ! «Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità»: abbiamo bisogno di essere rivestiti di un amore incondizionato che ci faccia sentire apposto, non fuori luogo, a disagio, un osso slogato, bensì come bimbi svezzati in braccio alla madre (Sal 131/130,2). Ma ecco poi un’aggiunta inaspettata:  ! «19tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convèrtiti»: il rapporto con Dio non ci conduce ad un eterno riposo, quanto piuttosto ad un’incessante rinascita; la vita eterna è un progresso infinito. Per questo l’esistenza terrena può essere già esperienza del regno dei cieli: perché la conversione permanente alla quale siamo chiamati è un costante autosuperamento, uno sbilanciamento in avanti, che di ogni punto d’arrivo fa un nuovo punto di partenza. La benedizione del tempo è di conservarci sempre allo stato di principianti: anziché essere luogo dell’invecchiamento, il tempo diventa così la condizione di possibilità di una giovinezza sempre rinnovata (Sal
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103/102,5). La lettera si conclude infine con uno dei versetti più noti dell’Apocalisse:  ! «20Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. 21Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono»: la Parola di Dio è proprio questo. Il Signore sta alla porta e bussa; leggere la Parola e pregarla significa aprire la porta, entrare nella stanza al piano superiore (At 1, 13), sedere e mangiare: l’ascolto diventa comunione con il Signore. È il mistero di una parola che si fa carne (Gv 1, 14): di una parola attraverso la quale il Signore, e con lui l’umanità intera, si fa carne nella nostra carne. La Parola di Dio realizza il mistero di un’incarnazione permanente, attraverso la quale l’esistenza terrena si fa esperienza del regno dei cieli: di diventare cioè sempre più una cosa sola, con il Padre e tra di noi (Gv 17, 21).
 
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Oratio
 Durante questo tempo di contemplazione, proviamo a tenere gli occhi su Gesù-Eucarestia; ripercorriamo i nomi con i quali lo descrive Giovanni nell’Apocalisse, per gustare quanto è buono e dolce il Signore (Sal 34/33, 9): ! «4Colui che è, che era e che viene»: Gesù è eternità (Gv 6, 35); con lui il tempo, da emorragia di vita, da uno scorrere che conduce infine alla morte, può diventare al contrario esperienza di una vita che non passa, che sempre si rinnova.  ! «5il primogenito dei morti»: Gesù è resurrezione (Gv 11, 25); la morte non è più la fine di tutto, bensì quella fine che rende possibile un nuovo inizio; anche questa nostra esistenza terrena allora può non essere più l’esperienza dell’inevitabile declinare del giorno, bensì la possibilità di vivere ogni momento come evento unico, irripetibile.  ! «il sovrano dei re della terra»: Gesù è Re (Gv 18, 37; 19, 19); per ogni popolo, il re è stato il simbolo di ciò che ognuno avrebbe desiderato essere, l’immagine di uomo riuscito: Gesù, il Gesù narrato nei Vangeli, è questo uomo riuscito, «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45/44, 3)  ! «colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue»: Gesù è amore (Gv 13, 1. 34); il suo amore per me è l’esperienza di un amore che vince la morte ed il male, è l’esperienza di essere amati incondizionatamente. Ora, però, un simile amore non può essere solo a parole o nei sentimenti, bensì nei fatti (1 Gv 3, 18), nella carne, nella concretezza del servire: è Gesù che si offre come pane per me; in ogni esperienza di cura e di servizio, facciamo esperienza del Signore.  ! «6ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio»: Gesù fa di tutti gli uomini un popolo solo (Ef 2, 14-18); all’uomo infatti non basta sentirsi amato: abbiamo bisogno di sentirci una
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cosa sola con tutti gli altri uomini, fratelli di un’unica famiglia. È quel che è possibile intorno a Gesù-Eucarestia. ! «13un Figlio d’uomo»: Gesù è il Dio fatto uomo (Gv 1, 14); abbiamo bisogno infatti di un Dio che ci sia vicino: che ci ami nella carne e nel sangue.  ! «un abito lungo fino ai piedi»: Gesù è lo Sposo (Mc 2, 19; Ap 22, 17. 20); l’«abito lungo fino ai piedi» è la veste nuziale degli invitati al banchetto (Mt 22, 12): è il vestito della festa, della festa alla quale ci invita. ! «14i capelli del suo capo erano candidi, simili a lana candida come neve»: Gesù è la vita (Gv 14, 6); il bianco infatti è il colore della veste della trasfigurazione (Mc 9, 2-3), è il colore della luce: la vita è luce che si effonde, sorgente inesauribile (Gv 7, 38). Il bianco è anche il colore della vittoria sulla morte e sul male, sul peccato (Is 1, 18); il bianco infatti riflette tutti i colori: la vittoria sul peccato si ottiene non interrompendo il flusso della vita arrestandolo su di sé, afferrandolo, facendone un possesso, ripiegandosi, bensì amplificandolo, entrando nel ritmo eucaristico dell’accogliere tutto come dono e tutto donare.  ! «I suoi occhi erano come fiamma di fuoco»: Gesù è fuoco (Lc 12, 49); sotto forma di fuoco apparve per la prima volta a Mosè Dio, come roveto ardente (Es 3, 2); l’Eucarestia insegna a vivere sprecandosi, appassionati, e a scoprire che quanto più si arde, tanto meno il fuoco si consuma.  ! «15I piedi avevano l’aspetto del bronzo splendente, purificato nel crogiuolo»: Gesù è giorno che non finisce (Ap 21, 25); non è come tante nostre opere, gigante dai piedi d’argilla, per frantumare il quale, facendolo cadere in rovina e crollare, è sufficiente una pietra (Dn 2, 31-35); il Risorto non ha la fragilità del sogno e dell’illusione, bensì la solidità di ciò che permane: non è nebbia che svanisce alla prima luce del giorno (Sap 2, 4).  ! «La sua voce era simile al fragore di grandi acque»: Gesù è acqua viva (Gv 4, 10); le «grandi acque» sono le acque
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della creazione (Gn 1, 2): Gesù è il diuturno rinnovarsi della luce del primo giorno (Gn 1, 3).  ! «16Il suo volto era come il sole quando splende in tutta la sua forza»: Gesù è luce (Gv 8, 12); con lui il tempo non è più il giorno che ineluttabilmente volge alla sera; ogni notte ormai prelude ad un nuovo giorno: anche le tenebre sono luminose (Sal 139/138, 12).
 
 
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Actio
 
 «12La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. 13Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto» (Eb 4, 12-13). Proviamo anche noi dunque a lasciarci interrogare nella nostra vita dalla Parola che abbiamo ascoltato: ! «1,3Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi sono scritte»: sono consapevole che la Parola di Dio ha il potere di rendermi beato, di introdurmi nella gioia della vita che non finisce? Ne sono assetato (Gv 4, 10)? Cerco occasioni per ascoltarla, anzitutto la Messa? ! «il tempo è vicino»: sono consapevole che il regno dei cieli è vicino, dietro l’angolo? E che la Parola di Dio è la strada che colma la distanza, che permette di compiere il santo viaggio (Sal 84/83, 6)? Sono desideroso di mettermi in cammino e di non fermarmi più? ! «3,15Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! 16Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca»: caldo è l’amore, freddo è l’odio; tiepido è chi ama senza dare sé stesso: non rischia di essere questa la mia condizione? Quella di credere cioè in Dio, senza tuttavia che ciò determini realmente e concretamente la mia vita? Desidero che la Parola di Dio mi conduca ad un amore che diventi dedizione? ! «17Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla»: qui non è questione anzitutto di soldi; sono piuttosto consapevole di non poter vivere senza Dio, di non poter
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fare a meno di lui? E che la Parola di Dio, insieme ai sacramenti, è la via del ritorno alla casa del Padre, alla condizione di figli?  ! «Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo»: in effetti siamo i più miserabili ed infelici, i più poveri! Come facciamo a non aver bisogno di Dio? Non abbiamo bisogno di essere conservati in vita? Chi può aggiungere anche un’ora sola alla sua vita (Mt 6, 27)? Ancora di più, non abbiamo bisogno di sentirci amati in un modo tale come nessuno è in grado di amarci? So che solo Dio può soddisfare questa mia sete? ! «18Ti consiglio di comperare da me [...] collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista»: so che la Parola di Dio è questo collirio, che mi apre gli occhi facendomi vedere la mia condizione, il bisogno che sono, e che mi guarisce, facendo nascere e crescere il Signore dentro di me?  ! «Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità»: sono consapevole di aver bisogno di essere rivestito di un amore incondizionato che mi faccia sentire apposto, non fuori luogo, a disagio, un osso slogato, bensì come bimbo svezzato in braccio alla madre (Sal 131/130, 2)? E che la Parola di Dio e i sacramenti mi rivestono di un simile abito?  ! «19tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convèrtiti»: sono consapevole che Dio mi chiama ad una conversione permanente, che di ogni punto d’arrivo fa un nuovo punto di partenza? E che proprio questo rimanere sempre allo stato di principiante fa sì che il tempo, anziché essere luogo dell’invecchiamento, si trasformi in condizione di possibilità di una giovinezza sempre rinnovata (Sal 103/102, 5)?  ! «20Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed
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egli con me. 21Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono»: è proprio così! Il Signore sta alla porta e bussa; leggere la Parola e pregarla significa aprire la porta, entrare nella stanza al piano superiore (At 1, 13), sedere e mangiare: l’ascolto diventa comunione con il Signore. È il mistero al quale anch’io sono chiamato ad entrare: di una parola che si fa carne (Gv 1, 14); di una parola attraverso la quale il Signore, e con lui l’umanità intera, si fa carne nella mia carne. Sono consapevole che questa mia esistenza terrena ha proprio questo scopo: di diventare sempre più una cosa sola, con il Padre e tra di noi (Gv 17, 21)?
 
 
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Approfondiamo la Parola
 
 «Io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). Sia aperta a colui che viene la tua porta, apri la tua anima, allarga il seno della tua mente, perché il tuo spirito goda le ricchezze della semplicità, i tesori della pace, la soavità della grazia. Dilata il tuo cuore, va’ incontro al sole dell’eterna luce «che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9). Per certo quella luce vera splende a tutti. Ma se uno avrà chiuso le finestre, si priverà da se stesso della luce eterna. Allora, se tu chiudi la porta della tua mente, chiudi fuori anche Cristo. Benché possa entrare, nondimeno non vuole introdursi da importuno, non vuole costringere chi non vuole.
    Nato dalla Vergine, uscì dal suo grembo irradiando la sua luce sulle cose dell’universo intero, per risplendere a tutti. Quelli che lo desiderano ricevono la chiarezza dell’eterno fulgore che nessuna notte riesce ad alterare. A questo sole che vediamo ogni giorno tiene dietro la notte tenebrosa. Ma il sole di giustizia non tramonta mai perché la sua luce di sapienza non viene mai offuscata da alcuna ombra.
    Beato colui alla cui porta bussa Cristo. La nostra porta è la fede la quale, se è forte, rafforza tutta la casa. È questa la porta per la quale entra Cristo. Perciò anche la Chiesa dice nel Cantico dei Cantici: «Un rumore! È il mio diletto che bussa» (Ct 5, 2). Ascolta colui che bussa, ascolta colui che desidera entrare: «Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia; perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne» (Ct 5, 2).
    Rifletti sul tempo nel quale il Dio Parola bussa più che mai alla tua porta: allorché il suo capo è pieno di rugiada notturna. Infatti egli si degna di visitare quelli che si trovano nella tribolazione e nelle tentazioni perché nessuno, vinto per avventura dall’affanno, abbia a soccombere. Il suo capo dunque si riempie di rugiada, ovvero di gocce, quando il suo corpo soffre. È allora che bisogna vegliare, perché
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quando lo Sposo verrà non si ritiri, vistosi chiuso fuori. Infatti, se dormi e il tuo cuore non veglia, se ne va prima di bussare. Ma se il tuo cuore veglia, egli bussa e domanda che gli si apra la porta. Abbiamo dunque la porta della nostra anima, abbiamo anche le porte delle quali è scritto: «Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria» (Sal 23, 7). Se vorrai alzare queste porte della tua fede, entrerà da te il re della gloria, recando il trionfo della sua passione. Anche la giustizia ha le sue porte. Infatti anche di queste leggiamo scritto quanto il Signore Gesù ha detto per mezzo del profeta: «Apritemi le porte della giustizia» (Sal 117, 19).
    L’anima dunque ha le sue porte, l’anima ha il suo ingresso. Ad esso viene Cristo e bussa, egli bussa alle porte. Aprigli, dunque; egli vuole entrare, vuol trovare la sposa desta.
(Ambrogio, vescovo, Commento sul salmo 118, 12. 13-14; CSEL 62, 258-259.)
 
 Ecco, sto alla porta e busso. Se uno ascolta la mia voce e mi apre, verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. 
 Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire in questo modo: 
 Verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.
(Cfr. Ap 3, 20; Mt 24, 46.)
 
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 Calendario della Catechesi adulti e Scuola di preghiera 2018-2019 
  «Ecco: sto alla porta e busso» (Ap 3, 20), proclama il Signore a tutti per mezzo dell’evangelista Giovanni nel libro dell’Apocalisse. Ma chi ascolta la sua voce? Chi gli apre? Abbiamo orecchie per ascoltarlo, ma non lo udiamo; occhi per contemplarlo, ma non lo riconosciamo; mani per toccarlo, ma non lo raggiungiamo; piedi per seguirlo, ma ci smarriamo.  Abbiamo bisogno di essere guariti: come i tanti ciechi, sordi e paralitici che popolano i Vangeli e sono oggetto di miracoli da parte di Gesù. Nella catechesi nella forma della lectio divina e scuola di preghiera di quest’anno ripercorreremo dunque i primi sei segni, ovvero i primi sei miracoli, narrati nel Vangelo di Giovanni: per ricevere la guarigione che di volta in volta Gesù vorrà offrirci, così da diventare un po’ più capaci nella nostra vita di ascoltare la sua voce e aprirgli la porta.
 
Non hanno vino (Gv 2, 3)  Venerdì 28 settembre Lectio di Gv 2, 1-11. Venerdì 19 ottobre   Scuola di preghiera
 
Tuo figlio vive! (Gv 4, 51)
 Venerdì 2 novembre  Lectio di Gv 4, 46-54. Venerdì 16 novembre Scuola di preghiera
 
Vuoi guarire? (Gv 5, 6)      Venerdì 30 novembre  Lectio di Gv 5, 1-9. Venerdì 14 dicembre  Scuola di preghiera
 
Che cos’è questo per tanta gente? (Gv 6, 9)   Venerdì 11 gennaio  Lectio di Gv 6, 1-13. Venerdì 25 gennaio  Scuola di preghiera
 
Non abbiate paura! (Gv 6, 20)     Venerdì 8 febbraio   Lectio di Gv 6, 16-21. Venerdì 22 febbraio  Scuola di preghiera
 
Sono la luce del mondo (Gv 9, 5)     Venerdì 8 marzo   Lectio di Gv 9, 1-7. 35-41. Venerdì 22 marzo   Scuola di preghiera
 Chiesa Gesù Salvatore, ore 21.00


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